"L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari". (Antonio Gramsci)

domenica 1 settembre 2013

Democrazia bloccata e Keynesismo cialtrone

L'immobilismo del governo Letta rende evidente il fatto che ci troviamo a vivere in una democrazia "bloccata"; intrappolata in una fitta rete di interessi particolari e di rendite di posizione ben rappresentati a livello politico,  originati e alimentati nel tempo dai circuiti della spesa pubblica o, all'opposto, dall'inerzia dell'intervento statale.

Si pensi, ad esempio:
  • ai professionisti della politica che hanno occupato ogni livello di governo, sempre pronti a compiacere i salotti buoni e le clientele elettorali;
  • ai milioni di pensionati trincerati dietro i propri "diritti acquisiti", che se la passano meglio dei lavoratori che faticosamente gli stanno pagando la pensione;
  • alle inefficienze, alla complessità e opacità della pubblica amministrazione, che resistono ad ogni tentativo di riforma;
  • all'evasione fiscale;
  • ma anche alla tolleranza rispetto allo sfruttamento continuativo del lavoro precario e, più in generale, al disinteresse rispetto ad una più equa ripartizione dei profitti generati dalla imprese(e non reinvestiti) tra la proprietà, l'alta dirigenza e la massa dei lavoratori.

Si tratta del risultato perverso di una politica economica definibile come "Keynesismo cialtrone", in cui l’indebitamento pubblico è servito storicamente a finanziare un mix di spesa pubblica largamente improduttiva e clientelare, di evasione fiscale e di interessi passivi sul debito (alla faccia dell'eutanasia del rentier invocata da Keynes).

E come altro si può definire una politica che per 25 anni di seguito, tra il 1965 ed il 1990, ha acconsentito che lo Stato continuasse ad avere una spesa primaria (al netto degli interessi) sistematicamente maggiore a quanto incassava in tasse, incurante della crescita esponenziale della spesa per interessi, fino ad accumulare un debito pubblico superiore al 120% del PIL nel 1994 ...

... e che, successivamente, tra il 2001 ed il 2006, ha dilapidato i risparmi ottenuti sulla spesa per interessi grazie all'adozione dell'Euro ed al ciclo di riduzione dei tassi internazionali, perdendo così la grande occasione per rimettere il Paese in carreggiata ?

Una politica finalizzata a sostenere surrettiziamente il livello dei consumi al tempo presente (= consenso elettorale); senza coraggio; senza lungimiranza; senza rispetto per le nuove generazioni di lavoratori che si sarebbero trovate una montagna di debiti da saldare e pochi investimenti realizzati per modernizzare un sistema produttivo che continuava a reggersi su settori tradizionali e competitività di prezzo: mancati investimenti in istruzione, nella ricerca e nelle infrastrutture, carico fiscale crescente su lavoro ed energia, burocrazia, incertezza del diritto, e così via ...

Una politica che ha premiato e ulteriormente incentivato i peggiori comportamenti sociali: pressioni di lobby e categorie, clientele locali, negligenza e autoreferenzialità della pubblica amministrazione, infedeltà fiscale diffusa e infestante.

Una politica che ha coniugato profitti privati e perdite pubbliche, e che ha messo la nostra comunità nazionale su un percorso di declino di portata storica (secondo dinamiche già evidenziate dall'economista Mancur Olson in The Rise and Decline of Nations ).
 
Una politica che, nella sua componente di spesa pubblica, è stata difesa a spada tratta da partiti di sinistra e sindacalisti, che pensavano così di avere trovato una strada comoda per conciliare l'ideale originario della giustizia sociale e la difesa opportunistica delle proprie basi elettrorali, senza più bisogno di confrontarsi con "scocciature" quali il reperimento delle risorse con cui finanziare una politica industriale all'altezza dei tempi e la lotta per una più equa ripartizione del reddito all'interno delle imprese e sul mercato dei beni e servizi ...

... una ricetta che invece ha finito per impoverire e precarizzare il lavoro dipendente, e reso l’Italia il secondo paese europeo per livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, dietro solo alla Gran Bretagna, con una ricchezza sempre più concentrata nelle mani della popolazione più anziana!

Giudicando da questi esiti, c'è onestamente ben poco della ricetta Keynesiana di una politica fiscale intesa a correggere in senso più egualitario la distribuzione del reddito e della ricchezza, combattere le rendite finaziarie e promuovere la socializzazione di quegli investimenti che l'impresa privata non è in grado di effettuare da sola.

A questo punto, gli intellettuali sedicenti di sinistra che "la sanno lunga" (come i vari Bagnai e Co.) ci spiegheranno con sussiego che è tutta una mistificazione e che in realtà siamo stati vittima di una sorta di controrivoluzione che le classi dominanti hanno ordito ai danni dei lavoratori alla fine degli anni Settanta. Una controrivoluzione scandita dall'adesione dell'Italia allo SME (Sistema Monetario Europeo); dal divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia che ha impedito il finanziamento del disavanzo statale mediante emissione di moneta; dal progressivo smantellamento della scala mobile per favorire il contenimento dell'inflazione; etc.

Ebbene, chi lo nega ? Lo scenario europeo di stabilizzazione monetaria e l'incremento dei tassi di interesse reali (a livello mondiale) hanno messo in discussione i presupposti macroeconomici (inflazione interna + svalutazione esterna) su cui si reggeva la competitività delle nostre produzioni e la sostenibilità di una spesa pubblica sistematicamente in disavanzo.

Tralasciamo pure il fatto che un'inflazione a due cifre (raggiunse il 20% alla fine del 1979) non fosse più sostenibile. Il fatto è che nella storia di un Paese (come nella vita personale di tutti i giorni) non si può cambiare a proprio piacimento il contesto in cui ci si trova ad operare; e pertanto: o si adeguano le proprie politiche per perseguire al meglio i propri obiettivi compatibilmente con tali vincoli, anche se ritenuti ingiusti; oppure si deve essere pronti ad accettare le conseguenze nel caso in cui si decida di ignorarli tirando avanti per la propria strada.

Il concetto appare chiaro quando si confronti il percorso seguito dall'Italia con quello degli altri Paesi industrializzati. Negli anni Ottanta i tassi di interesse reale sono aumentati in tutti i Paesi, ed anzi in Italia si sono comunque mantenuti i più bassi in assoluto: com'è allora che il nostro Paese è stato l'unico a uscire dagli anni Ottanta con un debito pubblico fuori controllo ed una pesante ipoteca sul futuro ? Come è potuto succedere? Tutti imbelli ed imbecilli i popoli degli altri Paesi che si sono adattati al nuovo contesto adottando una politica fiscale restrittiva, mentre da noi, in nome della coerenza agli ideali di giustizia sociale (professati a proprio vantaggio), si è continuato a spendere una ricchezza non creata ma solo presa a prestito, scaricando il conto sulle generazioni future ?

L’interpretazione data dai nostri "guru", secondo cui l’esplosione del debito pubblico negli anni Ottanta sarebbe stata provocata essenzialmente dalla crescita dei tassi di interesse, è ammissibile solo partendo dal presupposto che il disavanzo primario dello Stato dovesse essere mantenuto sugli stessi livelli degli anni Settanta.

Si tratta più che altro di una tesi di comodo, che semplicemente giustifica l’inerzia della politica fiscale di fronte allo sfascio dei conti pubblici denunciando l’ingiustizia dei nuovi vincoli posti alla nostra sovranità dal mutato contesto internazionale. E’ un pò come se nella storia della cicala e della formica, la cicala cercasse di ribaltare la morale tradizionale, dando la colpa della propria sorte all’arrivo dell’autunno! Un modo facile di professare i propri principi di equità redistributiva, arrogandosi il diritto di continuare per anni a consumare nel presente (non investire per il futuro!) risorse che non ci si è neanche presi la briga di riscuotere con le tasse, ma soltanto di prendere a prestito a tassi sempre più onerosi.

Ma questa dell'esplosione del debito pubblico è ormai storia ...
Quali sono state le tappe successive che ci hanno condotto a questa nuova crisi finanziaria ?

1) Innanzitutto, in un crescendo dagli anni Novanta in poi, si sono abbattuti sull'Italia gli effetti dell'accelerazione tecnologica (ICT) e della globalizzazione "scatenata", che hanno progressivamente ridistribuito lavoro e reddito in giro per il mondo, penalizzando le nostre produzioni più tradizionali a basso livello di tecnologia-conoscenza, ove ci eravamo specializzati;

poi è arrivato ...

2) il vincolo esterno imposto dall'adesione all'Euro, che ci ha impedito di manovrare il cambio per cercare di recuperare (almeno) la competitività di costo, messa in discussione anche dalla crescita del carico fiscale e dai differenziali di inflazione verso la Germania;

e infine ci è scoppiata in faccia la ...

3) bolla del debito (estero), che per un certo tempo ci aveva permesso di vivacchiare al di sopra delle nostre possibilità (si intende da un punto di vista "macro", dei disavanzi accumulati sulle partite correnti della bilancia dei pagamenti), senza accorgerci dell'arretramento delle nostre produzioni sui mercati internazionali.

E così siamo arrivati all'oggi.

Quello che colpisce è che di fronte a cotanto scempio, il teatrino della politica non abbia mai smesso di funzionare: una ridda di annunci, dichiarazioni e bei proclami, battibecchi e polemiche sterili, provvedimenti di facciata e cifre farlocche che hanno il sapore di pietose bugie ... tutto con l'obiettivo di intorpidire le coscienze e assuefarle ad una prospettiva di lento declino.

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A tale proposito, riporto un articolo di Salvatore Merlo, tratto dal sito LINKIESTA del 29.08.2013 che ben coglie, nella vicenda tragicomica dell'abolizione dell'IMU, il segno della nostra "democrazia bloccata".

Un cordiale saluto.
Emilio L.
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Palude Letta: un governo senza linea e senza visione

Con la falsa abolizione dell’Imu l’esecutivo ha tradito le promesse fatte ai giovani disoccupati
Il governo di grande coalizione non ha una visione, non ha una politica economica, non sembra avere la minima idea di come rilanciare l’economia dell’Italia sfinita, e in definitiva non ha una linea su nulla perché al suo interno contiene tutte le linee, tutte le posizioni, tutti gli interessi. La turbolenta coalizione di Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi ed Enrico Letta è il governo della palude. Vive alla giornata, rinvia, butta la palla in tribuna per evitare problemi di “governabilità”, è l’esecutivo delle toppe, e s’intuisce così che la stabilità di governo è tutto, l’unico obiettivo condiviso, il mezzo e contemporaneamente anche il fine di questa legislatura sprecata. L’importante è tirare a campare. E dunque questo agitato, litigioso, e pure torpido e saldissimo esecutivo cancella l’Imu ma rimanda le coperture finanziarie. Elimina la prima rata della tassa sulla casa, ma rimanda al 2014 la formulazione d’una nuova tassa sui servizi che graverà su chiunque abbia un tetto sulla testa: proprietari e affittuari, ricchi e poveri, giovani e anziani.

Gli italiani non pagheranno 4 miliardi di euro, per adesso. Ma quei miliardi dovranno ritornare nelle case vuote dello stato, in qualche modo. E certo fa impressione ricordare l’enfasi con la quale pochi mesi fa Enrico Letta annunciava, alla vigilia del consiglio europeo di giugno, coraggiose politiche contro la disoccupazione giovanile. “Sono i giovani la nostra priorità”, diceva il presidente del Consiglio. E dunque colpisce particolarmente osservare oggi come la futura tassa sui servizi, la “service tax” cosiddetta, si abbatta proprio contro i giovani, quelli più impegnati, quelli che un lavoro anche precario l’hanno trovato, che magari guadagnano poco ma vivono da soli, che non sono i bamboccioni di Padoa-Schioppa, né i pigri inoccupati delle statistiche Istat, ma sono invece quelli che sono entrati faticosamente nel mercato del lavoro e dunque pagano un affitto al quale ben presto sarà agganciato un tributo con il quale lo stato dovrà coprire la voragine che si è aperta nei conti pubblici per l’abolizione propagandistica dell’Imu. Poteva esserci un effetto psicologico positivo, l’annunciata abolizione della tassa poteva iniettare ottimismo nel sistema, spingere, chissà, l’aumento dei consumi interni. Ma tutti hanno capito che si tratta invece di un pasticcio, che la tassa uscita dalla porta rientra dalla finestra, nella confusione, nel marasma d’una nuova imposta che sarà in capo ai Comuni, che ne potranno modulare l’intensità. E i Comuni d’Italia sono sull’orlo del crack finanziario, Roma ha un indebitamento di 10 miliardi di euro, le città italiane hanno interesse a fare cassa, e dunque – incredibile – in alcune zone del nostro paese la nuova service tax potrebbe essere persino più pesante della vecchia Imu.

Il mercato del lavoro è ancora ingessato, la burocrazia un nodo scorsoio che impicca le piccole e medie imprese, le liberalizzazioni un miraggio, gli ordini professionali un morbo che sclerotizza l’Italia, le tasse sul lavoro altissime, gli investitori stranieri fuggono spaventati dalla selva oscura delle nostre leggi, le università sono tra le peggiori dell’Europa occidentale, la scuola cade a pezzi, gli stipendi sono bassi, viviamo un’infelice decrescita a colpi del 2 per cento l’anno con un tasso di disoccupazione del 12,2 per cento, la ripresa internazionale c’è già stata e noi non l’abbiamo intercettata mentre all’orizzonte si profila una nuova crisi che viene dall’oriente. Ma abbiamo sostituito l’Imu con una tassa sui servizi. Evviva. Il governo può andare avanti, benissimo. Ma per fare cosa? Che idea hanno Napolitano, Berlusconi e Letta dell’Italia? Nei primi mesi del suo governo, Mario Monti fece la riforma delle pensioni, e poi quella del mercato del lavoro. Il professore della Bocconi potrà anche avere pasticciato come sostiene qualcuno, potranno non essere piaciute a tutti quelle riforme di sistema che pure hanno messo a posto i conti, ma quella di Monti almeno era una linea, c’era un’idea, una visione dell’Italia, una sostanza tangibile da valutare, nel bene e nel male. E adesso? Adesso niente. Il Pd e il Pdl non riescono a vivere insieme, al massimo possono sopravvivere insieme. Ma di sussistenza alla fine si muore, sempre, lentamente, logorandosi, dolorosamente. Le elezioni sarebbero una soluzione, almeno per fare chiarezza, per affidare il governo a qualcuno, a un’entità precisa a cui poter attribuire anche delle colpe se necessario. La grande e turbolenta coalizione all’Italiana non funziona, e spiace dirlo, ma anche Giorgio Napolitano, il difensore caparbio delle larghe intese, si è trasformato da una risorsa in un problema.

4 commenti:

  1. condivido completamente, parola per parola, l'analisi iniziale che dà voce organica a una serie di rfilessioni anche mie che ho sparso nel mio blog in maniera più frammentaria.

    (ti segnalo solo un piccolo lapsus di battitura, perché l'occhio estraneo li vede iù facilmente dell'autore: Una politica che, nella sua componente di spesa pubblica, è stato difeso...).

    seconda parte: "gli intellettuali sedicenti di sinistra che "la sanno lunga" (come i vari Bagnai e Co.)": io non sono mica sicuro che Bagnai, che ha una cultura certamente leghista e nazionalista come sfondo culturale, si definisca di sinistra... (ma forse sono disinformato, oppure troppo animoso... :)).

    "Lo scenario europeo di stabilizzazione monetaria e l'incremento dei tassi di interesse reali (a livello mondiale) hanno messo in discussione i presupposti macroeconomici su cui si reggeva la competitività delle nostre produzioni (inflazione interna + svalutazione esterna) e reso più oneroso il servizio del debito pubblico".

    io sarei stato molto più cattivo con queste tesi, che assomigliano al famoso detto della nonna con le ruote che poteva essere una carriola, e rivendicherei con più nettezza la positività dell'ingresso nell'euro come tappa fondamentale per tentare di modernizzare il paese.

    purtroppo la gestione successiva è stata nelle mani prima della sinistra dalemiana, che si è sbarazzata di prodi, appena reaizzato l'ingresso nell'euro, e poi della destra berlusconiana, con i risultati catastrofici di dissipazione di questa straordinaria opportunità che hai messo in evidenza prima...

    purtroppo, occorre dire che effettivamente il ventennio berlusconiano, a parte le due brevi parentesi prodiane e quella di Monti, è stato caratterizzato da una alleanza strategica fondamentale tra sinistra e destra, che il governo Letta, propaggine altrettanto devastante di quel progetto e sua logica conclusione, sta portando ad estenuazione.

    come vedi condivido sostanzialmente proprio tutto: vorrei solo evidenziare un'altra continuità fra destra e sinistra nella macropolitica economica per affrontare la crisi: la riduzione della spesa sull'istruzione, che è evidentemente una specie di suicidio programmato.

    ma che cosa possiamo fare per diffondere una analisi onesta come questa e opporci in modo un poco più organizzato alla deriva fra falsa sinistra, destra egemone e grillismo, che confusamente coglie alcuni aspetti del problema (almeno), ma in u quadro insopportabile di confusione populista?

    e come sfuggire al problema che per raddrizzare questa situazione è impossibile non passare attraverso qualche forma di governo autoritaria?

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  2. Faccio presente che le "democrazie" europee non "bloccate" dagli interessi corporativi come Spagna e Portogallo non fanno riforme nell'interesse del cittadino medio, agiscono sotto dettatura di lobby finanziarie anche a costo di autodistruggere l'economia nazionale, quindi l'immobilismo italiano sta limitando i danni!

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  3. "grazie all'adozione dell'Euro ed al ciclo di riduzione dei tassi internazionali"...
    "Lo scenario europeo di stabilizzazione monetaria e l'incremento dei tassi di interesse reali (a livello mondiale)"...

    Me le spiega queste due affermazioni? I tassi si sono ridotti o sono aumentati?
    Perchè va bene mettere insieme due frasi a effetto, ma almeno che una riga vada d'accordo con l'altra...

    "da noi, in nome della coerenza agli ideali di giustizia sociale (professati a proprio vantaggio), si è continuato a spendere una ricchezza non creata ma solo presa a prestito"

    Ma se noi abbiamo avuto per anni il più alto avanzo primario d'Europa! Ma se abbiamo portato la pressione fiscale dal 34 al 45%!
    Ma da dove prende i suoi dati? da Topolino?

    "Tutti imbelli ed imbecilli i popoli degli altri Paesi che si sono adattati al nuovo contesto adottando una politica fiscale restrittiva"
    Si sono adattati? Ma di che adattamento sta parlando? Sembra che la crisi ci sia solo da noi... sono in crisi tutti i paesi d'Europa e non solo, di che parla?





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    Risposte
    1. Mi pare che lei confonda i piani temporali.

      "grazie all'adozione dell'Euro ed al ciclo di riduzione dei tassi internazionali" -> anni 2000

      "Lo scenario europeo di stabilizzazione monetaria e l'incremento dei tassi di interesse reali (a livello mondiale)" -> anni '80

      "da noi, in nome della coerenza agli ideali di giustizia sociale (professati a proprio vantaggio), si è continuato a spendere una ricchezza non creata ma solo presa a prestito"

      Domanda:
      Ma se noi abbiamo avuto per anni il più alto avanzo primario d'Europa! Ma se abbiamo portato la pressione fiscale dal 34 al 45%! Ma da dove prende i suoi dati? da Topolino?

      Risposta:
      Stiamo parlando degli anni '80.
      Alla persistenza del disavanzo primario, in progressivo riassorbimento solo nella seconda metà degli anni Ottanta, fino a raggiungere il pareggio nel 1991 e l’avanzo nel 1992 (+1,8 p.p. di PIL), si sommò il costante rialzo dei tassi di interesse reali pagati per il finanziamento del debito pubblico. Questi, dopo essere rimasti negativi nei primi anni Ottanta, diventarono positivi nella seconda metà del decennio, quale risultato del processo di disinflazione e della rigidità verso il basso dei rendimenti nominali, necessaria per compensare gli investitori internazionali del rischio di cambio che gravava sui titoli di stato denominati in lire. Conseguentemente la spesa per interessi registrò una crescita esponenziale passando dal 5,3% del PIL nel 1980 fino al picco dell’11,4% nel 1992.
      Tra il 1980 ed il 1992 la spesa pubblica al netto degli interessi aveva continuato la dinamica espansiva avviata nel decennio precedente, sospinta dalle uscite per prestazioni sociali (+5,2 p.p. di PIL), dagli stipendi della pubblica amministrazioni (+1.6 p.p.) e dai consumi intermedi (+1,1 p.p.). Per converso le entrare fiscali si mantennero per troppo tempo insufficienti: solo dalla metà degli anni Ottanta la pressione fiscale iniziò a crescere più velocemente della spesa pubblica, passando dal 30,7% del PIL nel 1980 fino al 41,7% del 1992 (1,5 p.p. sopra la media dei Paesi UE), permettendo così il raggiungimento dell’avanzo primario nel 1992.
      Troppo tardi! Il ritardo prima e poi l’eccessiva gradualità con cui la politica fiscale si adeguò al nuovo scenario di tassi di interesse reale positivi, determinarono l’esplosione del nostro debito pubblico che passo dal 58% del PIL nel 1980 al 116% del 1992 (+ 58 p.p. di PIL; per confronto negli anni Settanta l’aumento era stato di 20 p.p.), finanziato in quote crescenti dall’afflusso di capitali stranieri.

      "Tutti imbelli ed imbecilli i popoli degli altri Paesi che si sono adattati al nuovo contesto adottando una politica fiscale restrittiva"

      Domanda
      Si sono adattati? Ma di che adattamento sta parlando? Sembra che la crisi ci sia solo da noi... sono in crisi tutti i paesi d'Europa e non solo, di che parla?

      Risposta:
      Si sta ancora parlando degli anni '80

      Grazie per il commento.
      Un cordiale saluto

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