"L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari". (Antonio Gramsci)

domenica 19 maggio 2013

Lavoratori schiacciati dalle pensioni (altrui) - seconda puntata

Nella prima parte di questo post si è cercato di descrivere la voragine dei conti pensionistici, avvalendosi delle evidenze del Rapporto elaborato dal Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale costituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Lasciando da parte tutte le erogazioni di natura dichiaratamente "assistenziale" (assegni e pensioni sociali, integrazioni delle pensioni al minimo e maggiorazioni sociali, prepensionamenti, pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, ...), nel 2010 le pensioni pagate, pari a 232 miliardi, hanno superato di 40 miliardi i contributi effettivamente versati dai lavoratori, e tale differenza è stata coperta attingendo alle entrate fiscali.

Guardando all'intero periodo 1989-2010 analizzato dal Rapporto citato, si scopre che la copertura dei disavanzi previdenzali ha assorbito entrate fiscali per la cifra mostruosa di 660 miliardi.

Con un tale disavanzo non si può dunque parlare di una gestione puramente "assicurativa", in cui le prestazioni pensionistiche ricevute dai beneficiari corrispondono ad un "diritto acquisito" sulla base dei contributi effettivamente versati. Il sistema pensionistico è piuttosto uno strumento "politico" di redistribuzione dei redditi.

Proprio a tale discrezionalità "politica" devono ricondursi le profonde differenze (ingiustizie?) che si osservano nella generosità dei trattamenti pensionistici riservati alle diverse classi di lavoratori-contribuenti:

        i lavoratori di ieri (pensionati di oggi) risultano in generale favoriti rispetto ai lavoratori di oggi, poiché hanno versato meno contributi e sono andati in pensione più giovani ...
 
               ... inoltre, alcune categorie presentano deficit strutturali tra pensioni erogate e contributi versati ancora più ampi delle altre: si tratta dei dipendenti pubblici, dei coltivatori diretti, degli artigiani, ...
 
                         ... si pensi ad esempio alle baby pensioni dei dipendenti pubblici maturate dopo 15-20 anni di contributi (in un intervento di Giuliano Cazzola sul Sole24Ore, vengono quantificate in 500mila per un onere annuo di 9,5 miliardi) ...

                                      ... ed ai lavoratori autonomi che hanno iniziato a dichiarare redditi realistici solo negli ultimi cinque anni di lavoro per sfruttare tutti i vantaggi del sistema di calcolo retributivo (in un intervento di Alberto Brambilla sul Corriere della Sera, si riporta l'esito dell'analisi effettuata su centinaia di migliaia di posizioni previdenziali, da cui è emerso come un lavoratore autonomo che abbia iniziato a lavorare nel 1970 e sia andato in pensione nel 2005, in media si sia pagato con i contributi versati appena 5 anni e mezzo di pensione su almeno 19 di fruizione attesa).

Giunti a questa consapevolezza, bisogna porsi un semplice interrogativo: la scelta "politica" di dirottare un flusso enorme di risorse al pagamento di pensioni più generose dei contributi versati, se non allo sviluppo del paese, è corrisposta almeno ad un fine sociale di sostegno ai soggetti più bisognosi ??

Per rispondere lasciamo i luoghi comuni agli stolti e vediamo cosa ci dicono i numeri.

Sulla base delle dichiarazioni dei redditi, il reddito mediano da lavoro dipendente nel 2011 è risultato inferiore ai 20.000 euro (al lordo di imposte e contributi). Nello stesso anno, i pensionati che hanno dichiarato redditi superiori sono stati oltre 4,8 milioni (il 32% del totale).

Consideriamo adesso l’indagine biennale che la Banca d’Italia svolge sui bilanci delle famiglie.

Nel 2010 il reddito mediano delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente è risultato pari a 30.089 euro (al netto di imposte e contributi)Le famiglie di pensionati con un reddito superiore a 32.000 euro sono risultate il 27,4%. Percentuale che risulterebbe ben superiore se si normalizzasse il reddito familiare rispetto al numero di componenti tra i quali quel reddito deve essere suddiviso (2,96 per le famiglie di dipendenti e 1,88 per quelle di pensionati).

Quanto al patrimonio, la stessa indagine della Banca d’Italia evidenzia che il valore mediano della ricchezza netta delle famiglie di lavoratori dipendenti era pari a 138.630 euro (immobili più attività finanziarie, al netto dei debiti contratti). Le famiglie di pensionati con una ricchezza superiore a 164.000 Euro risultavano il 52,8% del totale. In particolare il 77,1% delle famiglie di pensionati vive in una casa di proprietà, contro il 62,5% dei lavoratori dipendenti.

Ecco la verità: milioni di pensionati godono oggi di redditi e patrimoni superiori a quelli dei lavoratori che, faticosamente, stanno pagando la loro pensione. In aggiunta, la vita dei lavoratori è molto più complicata di quella dei pensionati: ci sono la precarietà del lavoro e la disoccupazione, i figli da far crescere, per molti l’affitto o le rate del mutuo da pagare per continuare ad avere un tetto sulla testa ...

Non tutti i pensionati versano in una situazione di bisogno tale da giustificare la cristallizzazione dei propri privilegi come “diritto acquisito”, da garantire imponendo ai lavoratori una carico fiscale e contributivo che ha pochi eguali in Europa.

Piuttosto, sarebbe oggi necessario portare avanti un'operazione di "trasparenza" e ricalcolare tutte le pensioni in essere sulla base del sistema contributivo, così da quantificare, per ogni percettore, l'eventuale differenza rispetto a quanto maturato sulla base dei contributi effettivamente versati.

Questa differenza tra la pensione percepita e quella maturata sulla base del sistema contributivo rappresenta, di fatto, un trasferimento pubblico per finalità "assistenziali", di cui andrebbero verificati i presupposti in funzione dello stato di effettivo bisogno del nucleo familiare del percettore, da valutarsi attraverso l'indicatore ISEE: oltre una certa soglia di reddito equivalente ISEE, a tale differenziale andrebbe applicata una trattenuta come contributo di solidarietà e per il sostegno alle iniziative di crescita.

La realtà, invece, è che nessuna delle riforme che si sono succedute nel corso degli anni ha mai osato mettere in discussione i "diritti acquisiti" degli attuali pensionati. Ogni proposta è stata subito respinta, bollata frettolosamente come “macelleria sociale" da parte di sindacati e forze politiche di ogni segno, timorose solo di perdere il consenso del gruppo di interessi più ampio e consolidato del nostro paese.

La cristallizzazione delle pensioni rappresenta il risultato più eclatante e perverso della nostra democrazia "bloccata".

Un gigantesco "inganno collettivo" che dal 1989 ha assorbito entrate fiscali per 660 miliardi di euro, pari ad un valore attualizzato di oltre 1.000 miliardi, più della metà di tutto il nostro debito pubblico. Un sistema che ha alimentato i consumi al tempo presente drenando le risorse che sarebbero dovute essere investite nella modernizzazione del Paese e nella competitività del suo sistema produttivo, in modo da "attrezzarlo" a reggere l'urto della globalizzazione ... e che oggi opprime lavoratori e imprese con un carico di tasse e contributi sociali che ha pochi eguali al mondo ... e questo con buona pace della nostra Sinistra e di quanti oggi lamentano che è tutta colpa dell'euro.

Un cordiale saluto.
Emilio L.

1 commento:

  1. Evidente che molti sn i furbi in questo sciagurato e truffaldino paese. La trasparenza dei dati puo auutare tutti a riflettere.

    RispondiElimina