"L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari". (Antonio Gramsci)

domenica 13 ottobre 2013

Politica industriale e dei redditi: una proposta concreta per arrestare il declino


C’è chi prevede che l’uscita dall’Euro rappresenti l’esito inevitabile di una situazione economica ormai non più sostenibile per i Paesi periferici …

… e chi sostiene animatamente che i cambi flessibili, la ritrovata sovranità monetaria, i controlli sui movimenti di capitale, e così via, siano la condizione necessaria per tornare ad avere crescita e giustizia sociale.

Bene. Ne prendo buona nota. Ma in questo momento non vorrei neanche soffermarmi più di tanto su questa prospettiva:

infatti, se questo è l’unico esito possibile della crisi, significa che l’uscita dall’Euro ci verrà imposta dai mercati finanziari, indipendentemente dalla nostra comprensione e volontà …

… e se invece si tratta di una conquista per cui lottare, vorrà dire quando si dovesse concretizzare in Italia una proposta politica in tal senso, con un programma chiaro per il “dopo” ed un minimo di prospettiva di successo, allora la valuteremo serenamente, senza pregiudizi.

Fino ad allora, fino a che non si avveri uno di questi due eventi, trovo inutile continuare a arrovellarsi sempre su questa prospettiva. Meglio piuttosto interrogarsi su cosa possiamo fare fin da subito per tentare, almeno, di arrestare il declino.

Come punto di partenza, bisogna prendere atto che se è assurdo, in questa fase recessiva, accanirsi per ridurre l'indebitamento pubblico a colpi di austerità ...

... non c’è nemmeno la possibilità di fare girare l’economia attraverso l'indebitamento, pubblico o privato che sia. Anzi, i creditori esteri che ci finanziavano hanno ridotto la loro esposizione verso il Paese e preteso tassi di interesse più elevati.

Per arrestare il declino ci sono solo due cose da fare, congiuntamente:

1.     Investire con determinazione sulla competitività delle produzioni italiane, per attrarre potere d’acquisto dall’estero (esportazioni) e fare ripartire l’occupazione.

Possiamo chiamarla politica industriale.

2.      Riequilibrare in senso più egualitario la distribuzione dei redditi e delle utilità:

a.      quella che avviene nelle aziende, tra capitale, management e lavoro dipendente;

b.      quella operata dallo Stato, attraverso il prelievo fiscale e la spesa pubblica;

c.       e, infine, quella che si realizza sul mercato, attraverso il sistema dei prezzi.

Possiamo chiamarla politica dei redditi.

Chi scrive ritiene che le imprese costituiscono la prima (sebbene non l’unica) fonte di ricchezza per una comunità. E che il loro successo dipenda innanzitutto dalla preparazione, dalla creatività, dall’energia e dalla capacità di coinvolgimento del soggetto imprenditoriale.

Solo la singola azienda può individuare il mix ottimale di riduzione dei costi di produzione, riqualificazione dell’offerta ed estensione commerciale, che può portarla a ritagliarsi nuovi spazi di mercato.

In questo senso, una politica industriale dirigistica, fatta di incentivi calati “dall’alto”, diretti ad assicurare a questo o quel settore “strategico” risorse a fondo perduto o rendimenti garantiti, è destinata a risolversi nell’ennesimo spreco di denaro pubblico. 

La politica industriale non può annullare “a monte” la dimensione del rischio d’impresa, che vede necessariamente coinvolti sia la proprietà che i lavoratori; deve piuttosto accompagnare i piani di rilancio e sviluppo delle imprese, intervenendo “a valle” per ridurre il prelievo fiscale sui risultati economici raggiunti ed ampliare, per tale via, le risorse finanziarie disponibili.

Ma se l’impresa è strumento fondamentale di creazione della ricchezza, è ormai fatto acquisito che il principio egoistico di massimizzazione del profitto non sia in grado, da solo, di generare benessere diffuso per la comunità, ed anzi, la sua prevalenza può mettere in discussione nel lungo periodo la prosperità e la sopravvivenza della maggior parte delle imprese stesse.

Alla politica industriale si deve quindi affiancare una politica dei redditi che intervenga anche all’interno delle aziende, non già per annullare i sacrifici richiesti ai lavoratori in questa fase storica, ma per garantire che gli stessi siano condivisi con la proprietà e con il management, e che i risultati economici che si auspicano siano equamente condivisi con lavoratori che li hanno resi possibili.

In  altri termini, non sono più sostenibili le prerogative attuali del “capitale di rischio”, per cui i lavoratori sono i primi a patire della congiuntura negativa o delle scelte sbagliate del management, ma gli ultimi a godere dei frutti raccolti nelle stagioni positive! L'obiettivo è di fare leva sulla crisi e sul sacrificio richiesto alla classe lavoratrice, per conseguire livelli di socializzazione dell'attività d'impresa che non sarebbero stati neanche concepibili nel periodo pre-crisi. 

La politica dei redditi deve altresì intervenire con decisione sulla massa enorme delle risorse che lo Stato intermedia attraverso il prelievo fiscale e la spesa pubblica: l’alleggerimento fiscale che si richiede per incentivare riqualificazione del capitale produttivo e ripresa occupazionale, non può pesare sui redditi da lavoro dipendente e sui consumi quotidiani, ma deve essere posto finalmente a carico dei patrimoni, delle rendite, dei diritti "acquisiti" di natura politica e delle basi imponibili non dichiarate al fisco.

Le statistiche sulle disuguaglianze che pervadono il Paese devono fare riflettere sull’urgenza di una politica dei redditi che ponga gli oneri del rilancio a carico di chi oggi possiede di più:

·        Secondo l’OCSE, l’Italia è il secondo paese europeo per livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, dietro solo alla Gran Bretagna.

·        L’indagine campionaria della Banca d’Italia rivela che il 10% più ricco della popolazione possiede il 46% della ricchezza netta complessiva, mentre il 50% più povero si deve accontentare di meno del 10%.

·        E non stiamo parlando di una “guerra fra poveri”: secondo il Global Wealth Report del Credit Suisse, l’Italia è al tredicesimo posto al mondo per ricchezza pro-capite (su livelli superiori a quelli di Germania, Austria, Olanda, …) ed all’ottavo posto per numero di individui con ricchezza superiore al milione di dollari.

·        Queste statistiche sulla concentrazione della ricchezza, poi, non tengono in considerazione i fondi trasferiti illegalmente nei paradisi fiscali in giro per il mondo: solo nella vicina Svizzera, si stima siano depositati capitali in fuga dall’Italia tra i 120 ed i 180 miliardi di euro.

Arrivati a questo punto, sorge spontaneo chiedersi come sia possibile spacciare l’idea che l’uscita dall’Euro rappresenti la condizione necessaria per avere più giustizia sociale!

A pensar male, si potrebbe osservare come questa invocazione ad unirsi per la crociata contro l’Euro, senza distinzioni tra destra e sinistra, sembri funzionale proprio a distogliere l’attenzione dal conflitto, oggi ancor più stridente, tra una ristretta classe dominante ed i ceti medi e popolari prostrati dalla crisi, tra ricchi sempre più ricchi e poveri senza speranza! Assumendo invece la buona fede di chi vi esorta, tale proposta politica denota comunque una forma di subordinazione all’ideologia neoliberista, essendo pervasa da una sfiducia di fondo sulla possibilità di modificare i rapporti di forza all’interno della società, rintuzzando gli egoismi dei più ricchi nel nome di un progetto di sviluppo più sostenibile ed inclusivo.

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Nel concreto, si propongono i seguenti interventi prioritari di politica industriale e dei redditi.


1 – Credito di imposta per le imprese che investono nel nostro Paese

Introduzione di un credito di imposta sul reddito d’impresa, senza plafond e senza scadenza, di importo pari al 100% delle seguenti spese:
  • investimenti produttivi in Italia (con l'esclusione però degli asset più tradizionali, quali gli immobili e gli autoveicoli, che non appaiono in grado di generare un vantaggio competitivo esterno);
  • investimenti in ricerca e sviluppo effettuati avvalendosi di Università e Centri di ricerca certificati;
  • oneri sociali a carico dell’azienda sostenuti nei primi anni dall’assunzione a tempo indeterminato di giovani laureati (ad esempio: cinque anni per i laureati in discipline tecnico-scientifiche e due per gli altri).
Per sua natura, il meccanismo del credito di imposta ha un duplice vantaggio: quello di sostenere le sole imprese che intraprendono piani di investimento economicamente sostenibili e quello di agire sui redditi dichiarati, incentivando la fedeltà fiscale.

I profitti che hanno beneficiato del credito di imposta possono essere mantenuti in azienda come autofinanziamento o anche prelevati dalla proprietà: in quest’ultimo caso, però, una quota del credito di imposta deve essere prima accreditata ai lavoratori, a titolo di compartecipazione ai risultati.

 
2 – Riduzione selettiva e concordata del costo del lavoro a fronte della compartecipazione dei lavoratori al capitale d’impresa

Per rilanciare competitività e investimenti, le singole imprese ed i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che vi sono occupati, possono concordare un piano che preveda una riduzione delle retribuzioni per la durata minima di un'anno, salvo proroghe, concessa dai lavoratori a titolo di compartecipazione al capitale di rischio dell’impresa.

Le quote/azioni attribuite ai singoli lavoratori (in misura della minore retribuzione netta da essi ricevuta), attribuiscono il diritto partecipare alla distribuzione proporzionale degli utili d’impresa.

Per evitare che lo strumento possa essere utilizzato per finalità di elusione fiscale e contributiva, l'utile distribuito al lavoratore si somma alla retribuzione a titolo di lavoro dipendente per determinare l'ammontare delle trattenute fiscali e contributive.

Le quote/azioni sono prive del diritto di voto, ma permettono ai rappresentanti dei lavoratori di accedere alle informazioni sull'attuazione del piano concordato per il rilancio della competitività e gli investimenti.

Con tale iniziativa si vuole dunque perseguire una riduzione del costo del lavoro che sia:

selettiva, ovvero non generalizzata a tutta l'economia (con rischio deflazione), ma circoscritta alle sole realtà aziendali che hanno subito una perdita grave di competitività / redditività;

concordata con i lavoratori, evitando l'arretramento unilaterale dei diritti, a favore piuttosto della loro trasformazione in un ottica di difesa dell'occupazione e di compartecipazione ai risultati dell'impresa;

finalizzata all'attuazione di un progetto di sviluppo aziendale definito e monitorabile.


Per forzare l'adozione di questo nuovo strumento, si deve stabilire che non possa essere richiesto  l'intervento della CIGS straordinaria per cause di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione aziendale, se prima non sia stato sperimentato un accordo di riduzione del costo del lavoro di entità pari ad almeno il 20% e per la durata minima di 1 anno.



3 - Misure di deterrenza dei comportamenti predatori a danno dei lavoratori

Le procedure di licenziamento collettivo per motivi economici/organizzativi, sono ammissibili solo a condizione che la retribuzione omnicomprensiva netta dei ruoli dirigenziali venga rinegoziata, per l’anno in corso e per i due successivi, entro un tetto massimo pari a cinque volte quella media dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato impiegati nell’azienda.
 
 
Laddove l’impresa abbia proceduto a licenziamenti collettivi per motivi economici/organizzativi, gli eventuali “extra-profitti” conseguiti nell’esercizio in corso e nei due successivi sono oggetto di un ulteriore prelievo fiscale straordinario, a compensazione dei costi sociali prodotti. Per “extra-profitto”si intende quello corrispondente ad un rendimento sul patrimonio netto dell’impresa superiore al tasso medio sui titoli di stato a medio-lungo termine.
 
 
Per contrastare la precarizzazione del lavoro, le retribuzioni minime tabellari dei lavoratori a tempo determinato sono maggiorate di almeno il 5% rispetto a quelle in vigore per i lavoratori a tempo indeterminato che svolgono le medesime mansioni (attualmente è prevista solo una maggiorazione dei contributi a carico del datore di lavoro pari all’1,40%, entrata peraltro in vigore ad inizio 2013).

 
4 – Spostamento del carico fiscale su patrimoni, rendite, diritti "acquisiti" di natura politica e basi imponibili non dichiarate al fisco
 
Premesso che finchè l'economia non torni a crescere a ritmi superiori all'1% annuo il disavanzo pubblico non può essere ulteriormente compresso sotto il 3% del PIL, il minore gettito fiscale e contributivo derivante dall’introduzione del credito di imposta sugli investimenti  (intervento n. 1) e dagli accordi tra imprese e lavoratori per la riduzione del costo del lavoro (intervento n. 2), dovrà essere finanziato attraverso le seguenti misure:
 
- aumento del prelievo sulle rendite finanziarie e sul patrimonio mobiliare e immobiliare, con particolare riferimento alla quota derivante da evasione (che non deriva da successione e non può essere giustificata dai redditi dichiarati);

- congelamento degli stipendi pubblici e riduzione delle retribuzioni più elevate (al netto) entro un tetto massimo pari a cinque volte la retribuzione media;

- abolizione di uno dei due rami del Parlamento (il Senato) e abolizione di tutte le Province con ripartizione delle relative competenze tra Regioni e Comuni:  non solo per tagliare i costi della politica ma anche per rendere più semplici e veloci i processi decisionali;

- revisione, in un'ottica di equità tra le generazioni, delle pensioni in essere che superano il valore medio del reddito da lavoro dipendente (si considera l’importo cumulato di tutte le pensioni versate allo stesso percettore). Tali pensioni devono essere ricalcolate in base al sistema contributivo vigente, al fine di quantificare l'eventuale differenza rispetto a quanto maturato sulla base dei contributi effettivamente versati: il maggiore importo viene decurato del 50% e non gode di rivalutazione (la decurtazione ed il blocco della rivalutazione non si applicano, come detto all'inizio, agli importi fino al quello medio del reddito da lavoro dipendente, che sono da considerarsi come "diritto acquisito" ).

- introduzione di una tassa sul prelievo di contante (nell'ordine dell' 1%, con esenzione per il prelievo in contanti delle pensioni), finalizzata ad incentivare i pagamenti elettronici tracciabili e, per questa via, una maggiore fedeltà fiscale;

- potenziamento delle strutture dell’Amministrazione finanziaria dedicate al contrasto delle pratiche elusive poste in essere dai grandi gruppi internazionali (trasferimento dei profitti all’estero);

- riconoscimento di un premio a chi, cittadino italiano o straniero, fornisca all’Amministrazione finanziaria prove determinanti per l’accertamento di redditi/patrimoni non dichiarati (almeno il 20% dell’imposta recuperata, oltre all’immunità per i reati connessi alla sottrazione delle informazioni riservate).

  
 
5 – Servizio civile obbligatorio a favore della comunità
 
Introduzione di un numero minimo di giornate di servizio civile obbligatorio per alcune categorie di soggetti non impenati in attività lavorative e che beneficiano di trasferimenti pubblici - studenti delle scuole secondarie, cassaintegrati e pensionati - di cui i Comuni e le ONLUS possono disporre per l’erogazione di servizi a favore della comunità:
 
  • servizi sociali alle persone (non autosufficienza; disabilità; famiglie a basso reddito; attività sportive, ricreative e culturali, …)
  • gestione e manutenzione dei beni pubblici (recupero aree e immobili degradati; valorizzazione dei beni culturali; apertura strutture pubbliche come biblioteche e centri sociali; cura del verde comune; coltivazione orti comunali; ...)
Questa inziativa, oltre ad arricchiere i "beni comuni" fruibili dalla comunuità, permetterebbe di potenziare l'offerta commerciale legata al turismo ed al tempo libero.



6 - Affitto degli alloggi sfitti a favore delle famiglie a basso reddito

Ghandi ha scritto "Chiunque abbia qualcosa che non usa, e' un ladro".
 
E' necessario raddoppiare le imposte patrimoniali sugli alloggi non occupati e fiscalmente sfitti da oltre 3 anni, con l'obiettivo di:

- aumentare l'offerta di immobili in affitto ed esercitare una pressione al ribasso sui canoni;
- alimentare, attraverso il maggior gettito fiscale, i fondi a disposizione dei Comuni per il contrasto del disagio abitativo.
 
Parallelamente, i Comuni devono avviare un servizio di raccolta e verifica delle richieste di immobili in affitto da parte delle famiglie a basso reddito (certificato ISEE), da perfezionarsi ad un canone dimezzato rispetto ai valori di mercato per mq (come rilevati dall'Osservatorio OMI dell'Agenzia delle Entrate).
 
Per non alimentare fenomeni di morosità, la procedibilità delle richieste di affitto a canone dimezzato è comunque subordinata alla verifica da parte del Comune:
  • che il canone, pur ridotto, sia economicamente sostenibile da parte del conduttore, incidendo per non oltre il 25% sul reddito familiare accertato da dichiarazione dei redditi;
  • che i redditi di cui sopra provengano da contratti di lavoro a tempo indeterminato o da pensione; diversamente il locatario dovrà essere in grado di offrire al proprietario una fideiussione bancaria a garanzia del pagamento dei canoni di affitto.

Quale ulteriore incentivo per i propietari a collaborare con i Comuni:
- sugli immobili messi a disposizione non si applica il raddoppio dell'imposta patrimoniale;
- sugli immobili effettivamente affitatti l'imposte patrimoniale viene azzerata.
Queste misure, oltre ad alleviare il disagio abitativo delle famiglie a basso reddito e calmierare il mercato delle locazioni, permetterebbero anche di disincentivare gli affitti in nero.
 
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Se ci soffermiamo per un attimo a confrontare gli emblemi del nostro benessere materiale con le condizioni di vita delle persone che ci hanno preceduto due secoli fa o anche solo un secolo fa, lo sviluppo della nostra società appare stupefacente.
Come siamo riusciti ad elevarci oltre la tirannia dei bisogni primari ed allentare il senso di precarietà dell’esistenza?
Come siamo riusciti a garantirci alloggi confortevoli, cibo abbondante, cure efficaci per le malattie, mezzi di trasporto, istruzione e svaghi per il tempo libero?
 
Come per ogni organizzazione, il progresso della società è innanzitutto il risultato dell’impegno coordinato dei suoi membri. La sua intensità dipende proprio dalla capacità dei partecipanti di vincere gli egoismi distruttivi, per condividere una visione di bene comune, che valorizzi e solleciti il contributo di tutti, in termini di lavoro, intraprendenza, innovazione e ... generosità verso il prossimo.

Euro o no, siamo in grado di ritrovare questa visione?
 
Un cordiale saluto.
Emilio L.

3 commenti:

  1. Sono sostanzialmente dì'accordo sulle tue prosposte anche se alcune, vedi tassa sul contante e affitto forzoso sono credo difficlmente applicabili., Quello che a mio parere manca nelle tue proposte è una politica di investimenti maggiore dello Stato che in un momento in cui le imprese per mancanza di fiducia non investono è necessario effettuare per rilanciare l'economia e i redditi, gli investimenti dovrebbero essere non dedicati a faraonici progetti ma sopratutto alla scuola e università che sono un investimento sul futuro , e che comunque avrebbero bisogno di essere maggiormente adeguate ai tempi e alle necessità del lalvoro, e a investimenti nel miglioramento dell'ambiente e delle citta nonchè del patrimonio artistico culturale strorico e naturalsitico che sono un'altra fonte prospettiva di sviluppo. I soldi potrebbero essere trovati con un lavoro complesso ma fattibile recuperanndo soldi dalla sanità dove si possono risparmiare molti soldi aumentando addirittura il servizio, dalle vendita oculata di patrimonio non utilizzato ( senza fare i soliti regali) e dall'enorme quantità di sprechi che si fanno nell'amministrazioni pubbliche centrali e locali. Comunque il problema centrale del nostro paese resta e rimane il meccanismo di scelta della classe dirigente. Abbiamo una quantità di risorse umane incredibili ma dobbiamo fare in modo che i meccanismi di selezione siano tali da favorire i più capaci e meritevoli sia nell'amministrazione pubblioca che nella classe impreditoriali mentre negli ultimi decenni abbiamo visito da un lato il perpetuarsi della stessa classe politica e dalla altra parte i soliti giochetti dei salotti buoni per spartirsi la torta a danno dei cittadini e dei piccoli azionisti.

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    2. Sono assolutamente d'accordo con te.

      Istruzione, ambiente e patrimonio culturale (ma anche il volontariato e le strutture pubbliche come parchi, impianti sportivi, biblioteche, ...) sono tutti beni comuni sui cui non dobbiamo rinunciare ad investire.

      Come giustamente affermi, rappresentano investimenti sul futuro e occasione di crescita economica. Inoltre, permetterebbero alle persone di seguire percorsi di sviluppo della propria umanità e del benessere slegati dai circuiti del consumo ossessivo dei beni privati (peraltro sempre meno accessibili).

      Grazie per il contributo. A presto.

      Emilio L.

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